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Lo scultore è donna: la scelta di Margherita Serra

scultore margherita serra

Dai tempi di Properzia De’ Rossi, vissuta a cavallo tra il XV e il XVI secolo e considerata il primo scultore donna, le cose per le artiste di sesso femminile sono migliorate ma non poi tanto. È quindi doppiamente coraggiosa la scelta di Margherita Serra di lasciare il posto sicuro di architetto al comune di Brescia per dedicarsi interamente all’arte e al suo amore per la scultura che tante soddisfazioni le sta regalando. Un esempio di come la passione unita alla competenza sia in grado di aprire qualsiasi porta.

 

 

Margherita Serra, lei è nata e ha frequentato gli studi a Brescia, ma le sue origini sono lucane e ha trascorso l’infanzia a Matera: che influenza hanno avuto queste origini nel suo lavoro di artista?

 

I paesaggi materani hanno influito moltissimo, nei ricordi, nelle esperienze e nel cuore. Trascorrevo tutte le estati nelle campagne con i nonni, quindi ho imparato subito ad amare questa terra. Qui è nata la mia passione per l’arte, in particolare per la scultura: da bambina scolpivo le pietre, che mi hanno sempre affascinato: anche il sasso è una forma scultorea. Quindi sì, la Basilicata e Matera in particolare non sono un dettaglio nel mio percorso come artista: quei paesaggi tipici, così diversi da quelli di Brescia, la città dove sono nata e cresciuta, hanno avuto sicuramente un peso. Non a caso alcune mie sculture oggi sono inserite in un ipogeo, un Sasso meraviglioso.

 

 

Non si diventa artiste per caso, quindi. Ma poi alla passione bisogna aggiungere la competenza: qual è stato il suo percorso formativo? Cosa è stato determinante?

 

Ho avuto tante esperienze: sono stata insegnante di scuola materna, dieci anni bellissimi; poi di scuola media e superiore. Ma più di tutto mi hanno aiutato i miei studi di architettura, professione che ho esercitato fino al 1994 come dirigente al comune di Brescia. Con l’architettura bisogna disegnare molto (per esempio ho partecipato al rilievo di tutto il complesso di Santa Giulia) e la scultura è principalmente basata sul disegno. Mi ha anche aiutato a conoscere i materiali. Quindi l’architettura ha contribuito moltissimo: alcune mie sculture, in effetti, sono architettoniche.

 

 

Come mai la scelta di lasciare il posto fisso?

 

La vita qualche volta ti mette davanti ad un bivio. A me è successo nel 1994. Ho fatto una scelta controcorrente, ma non avevo altra possibilità per coltivare la mia passione artistica. All’epoca lavoravo a tempo pieno nelle commissioni edilizie, negli studi di progettazione, con grandi responsabilità. Però, grazie agli straordinari, riuscivo ad accumulare ore che poi recuperavo andando a Carrara per lavorare la pietra e fare i laboratori.

Ad un certo punto, per alcune decisioni prese dall’amministrazione comunale, questo non è stato più possibile e quindi ho dovuto scegliere tra l’impiego al comune e la passione artistica.

Non è stata una decisione semplice, anche perché investiva la famiglia. Ero indecisa: lasciare un posto sicuro per fare l’artista, te l’immagini? È stato Luciano Caramel, un mio critico d’arte e persona di grande cultura, a darmi il consiglio giusto. Mi disse: se sei una professionista non puoi fare due cose, o l’una o l’altra; se ritieni di essere un’artista professionista allora vai e lasci il posto da architetto.

Ho seguito il suo consiglio. Quindi mi sono licenziata. Tra l’altro ho lasciato il posto ad un’altra donna che ha fatto il concorso e l’ha vinto. Sono stata molto contenta per lei e anche per me perché a quel punto ero libera di proseguire la mia strada e di fare progressi: grosse mostre, progetti importanti come la collaborazione con la Perla, promotrice della mostra a Villa delle Rose, Bologna, curata da Martina Corniate e la Camera Nazionale della Moda che ha aperto la stagione primavera estate dell’anno 2005 con la mostra Corsetti e dintorni alla presenza di Gillo Dorfles.

 

 

Nessun pentimento o rimpianto?

 

No. Se mi guardo indietro direi che ho vinto il terno al Lotto. E questo mi ha insegnato che quando sei ad un bivio devi veramente seguire quello che ritieni giusto per te. Per altro ero già sulla “buona strada”: nel 1993, prima che lasciassi il posto da architetto, il comune di Matera mi aveva assegnato in concessione d’uso uno spazio espositivo, grazie alla 771 (una legge speciale sui Sassi) in qualità di artista internazionale e tutt’oggi a Matera ho uno spazio, ristrutturato a mie spese che mi dà grandissima soddisfazione. Adesso vivo tra Matera e Brescia e viaggio molto.

 

 

Il consiglio quindi è quello di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e lavorare per realizzarle?

 

Assolutamente sì. È faticoso e rischioso, ma puoi trovare delle soddisfazioni che non ti aspetti, non bisogna mai demoralizzarsi.

 

 

A Matera quest’estate lei ha esposto con nomi importanti come Gillo Dorfles e Ugo Nespolo…

 

Questa è solo l’ultima mostra importante: io ho sempre fatto mostre di grande livello internazionale, comprese quelle con artisti americani: faccio parte del gruppo Sculpture Guild di New York, il che mi ha permesso di invitare in Italia artisti internazionali importanti portando a Matera molta cultura (e molto business).

 

 

A proposito di moda, perché lei scolpisce corsetti e crinoline?

 

Tanti me lo chiedono, ma non so mai bene cosa rispondere. È stato un percorso che mi ha portato lì. Io ho cominciato con l’arte figurativa (nature morte, ritratti), però quando hai una passione non sei mai del tutto soddisfatta, aspiri a qualcosa di più.

E così ho continuato le mie ricerche: figurativo, acrilici, astrazione, bronzo, vetro di Murano, ferro, acciaio, etc..

Col bronzo ho conosciuto l’argilla, che però a me risultava troppo morbida.

Volevo qualcosa di più forte, tenace; forme pulite, limpide, distese (forse influenzata dal mio background come architetto), mentre l’argilla è troppo duttile, non faceva per me. Così ho iniziato a frequentare i laboratori a Carrara per lavorare il marmo. L’antologica al museo di Gallarate nel 2000 segna l’ingresso del corsetto con l’opera Femminilità 2000, che riproduce un indumento femminile molto ricamato. Mi piaceva l’idea di studiare una struttura che contenesse un corpo di donna ma senza costringerla come accadeva un tempo; una femminilità prorompente, fatta di ricami ed eleganza ma anche forza; un’esaltazione della bellezza degli attributi femminili.

Non ho mai amato la scultura come soprammobile.

Per me la scultura deve trasmettere un messaggio. Prima dei corsetti ho portato avanti tutta una produzione di élan vital, lo “slancio vitale” di Henri Bergson, secondo il quale attraverso lo spirito la materia si eleva.

 

 

Il suo artista di riferimento?

 

Ci sono tanti artisti, ma l’unico è Michelangelo. Il Tondo Pitti mi ha fulminato: è stato l’inizio del mio scalpellare da ragazza.

 

 

Che consiglio si sente di dare a chi volesse intraprendere una carriera d’artista a livello professionale?

 

Il consiglio è: crederci, metterci anima e amore. E allora i risultati arrivano. I ragazzi specialmente hanno grandi potenzialità, sono meravigliosi. Se vogliono fortemente qualcosa ce la fanno. Rispetto a quando ho cominciato io, grazie a internet e ai social network ci sono maggiori possibilità di farsi conoscere: oggi è un po’ più semplice. E poi l’arte non morirà mai: è l’essenza della vita.

 

 

Errori? Ripensamenti?

 

Errori direi di no; difficoltà se sei donna sì. Purtroppo, se sei donna è doppiamente complicato fare l’artista. Specie nella scultura, mestiere tipicamente maschile. Ho avuto sempre difficoltà. Mi sono scontrata con artisti maschi nei simposi di scultura: dicevano che avevo le unghie troppo lunghe e con le unghie lunghe non si può scolpire. Figurarsi: non solo le avevo le unghie, ma pure dipinte!

Gli ho dimostrato, vincendo una scommessa, che si sbagliavano: alla fine del concorso avevo una scultura e le unghie ancora lunghe. Perché è il cervello che conta. Ci vuole forza, ma anche intelligenza. La materia, specialmente il marmo, va trattata con competenza e con dolcezza. E secondo il suo verso: se vai contro il suo verso, il marmo si spacca. È una realtà anche questa: la donna deve tribolare dieci volte di più dei colleghi maschi. Altro consiglio che posso dare è di non cedere mai alle lusinghe del mercato e agire secondo la propria coscienza e con rigore, mantenendo i piedi per terra.

 

 

Progetti per il futuro?

 

Il futuro è aperto, spero mi riservi ancora qualcosa di buono. In ogni caso, non ho rimpianti, sono contenta e soddisfatta di quello che ho realizzato. Sono state scelte difficili ma bisogna avere coraggio e rischiare, senza però fare salti nel buio: è importante farsi sempre consigliare da persone di fiducia e, soprattutto, competenti.

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