FIOREROSALBA

Vita da casaro tra natura, fatica e passione

Casaro Andrea Colombero

In inverno in valle, d’estate sugli alpeggi: la vita del produttore di formaggi segue il corso delle stagioni ed è scandita dai ritmi della natura e degli animali. Un po’ meno se lavora per un grande caseificio, dove i ritmi sono dettati più dalla necessità di rifornire la grande distribuzione. In ogni caso, quello del casaro è un mestiere che porta con sé il fascino di una professione antica eppure in continua trasformazione; dalla lunga tradizione, ma anche capace di reinventarsi, di stare al passo con i tempi. Sempreché chi la pratica ha la passione e la curiosità necessarie per superare la fatica e l’impegno costante che richiede.

 

Come Andrea Colombero, che con la moglie Barbara gestisce una piccola azienda familiare in Piemonte. «Entrambi – racconta – veniamo da famiglie che facevano questo lavoro anche se noi abbiamo introdotto dei cambiamenti. Prima eravamo soprattutto allevatori, con la produzione del formaggio concentrata in estate durante l’alpeggio, mentre d’inverno il latte veniva venduto ai caseifici. Da sei anni, invece, ci siamo trasferiti in una zona pedemontana, lasciando la piena pianura, e abbiamo esteso la trasformazione a tutto l’anno. Quindi oggi trasformiamo direttamente il 100% del latte prodotto in azienda». La loro azienda si chiama Fiori dei Monti e si trova a Moiola, un piccolo paese nella bassa Valle Stura (in provincia di Cuneo). (https://www.facebook.com/fiorideimonticolombero/)

 

 

Ha mai pensato di fare un altro lavoro visto che produrre formaggi è un lavoro che impegna 365 giorni l’anno?

 

In realtà no, ma nella vita non si può mai sapere. Fare il lavoro che ti piace ti deve dare da mangiare sennò è un capriccio. Io ho sempre avuto chiaro che questa era la mia strada: sono cresciuto in mezzo agli animali, con papà che faceva formaggi. Eppure ad un certo punto mi sono dovuto fermare. All’inizio degli anni duemila, con il primo caso di mucca pazza e il mercato completamente fermo, ho dovuto cercarmi un lavoro per portare a casa un reddito. Sono rimasto fuori casa per 5 anni. Quindi anche se hai un mestiere nel sangue, non è detto che tu riesca ad assecondare il tuo desiderio. Ma poi mi sono reso conto che è anche una questione di scelte: mio papà è stato male e ho dovuto decidere cosa fare. Ero ben cosciente a cosa andavo incontro, ma ora eccomi qua. Sono contento della scelta fatta, che aveva come presupposto la consapevolezza dei sacrifici (se vogliamo chiamarli così, per me è il lavoro più bello del mondo) che mi attendevano: il mestiere fatto come lo faccio io, cioè a livello familiare, senza operai, si intreccia con la vita quotidiana: non c’è un momento in cui il lavoro finisce e comincia la tua vita.

 

 

I ritmi, dunque, sono quelli della natura e delle esigenze degli animali.

 

Sì e anche quelli del latte: noi lavoriamo solo latte crudo, che è un elemento che non può aspettare più di tanto. Non puoi dire “vabbè, lo lavoro tra tre giorni perché voglio andare a fare un weekend”. Il latte può aspettare al massimo un giorno, la mungitura nemmeno quello.

 

 

Com’è la vostra giornata tipo?

 

Cambia a seconda se sei nella fase del pascolo o in quella degli animali in stalla, come adesso (inverno, ndr.). Salvo il periodo dei parti (che com’è noto non hanno orario e possono avvenire anche di notte), la nostra giornata tipo inizia verso le 6, mia moglie in stalla e io al caseificio. Poi, mentre i bambini sono a scuola e fin verso mezzogiorno, lei si occupa della trasformazione e io curo le stalle (ne abbiamo due). Dopo pranzo ci dedichiamo ad attività varie (come fare legna o curare la cantina dei formaggi) e poi dalle tre riprendiamo a nutrire gli animali in stalla e ci dedichiamo alla pulizia finale del caseificio e alla mungitura serale. Nel periodo del pascolo è un po’ diverso, perché gli animali sono liberi e non c’è da pulire la stalla bensì, ad esempio, preparare i fili con i pezzi d’erba per il giorno dopo.

 

 

Com’è il mercato del formaggio in questo momento? Quali prospettive vede?

 

Vedo buone prospettive, per due ragioni. Intanto, la nostra è un’azienda giovane; è fisiologico che in sei anni la crescita sia stata costante (altrimenti sarebbe stato un problema). Con la trasformazione diretta e non avendo dipendenti il nostro margine è alto. Il discorso cambia quando parliamo del mercato delle cooperative del latte. La seconda ragione risiede nel cambiamento che sta avvenendo sul piano culturale: l’attenzione alla filiera corta e allo slowfood oggi è meno generica e più concreta. La domanda nei confronti di un certo tipo di produzione si è fatta più consapevole e questo ci dà forza; è la conferma che la direzione che abbiamo intrapreso trova riscontro nella visione del consumatore.

 

 

A chi vendete i vostri prodotti?

 

L’80 per cento della vendita avviene direttamente in azienda; il resto è diviso tra ristoratori locali e piccoli negozi della valle. Vendiamo nell’arco di 50 km. Il ristoratore non è un grande cliente dal punto di vista commerciale, ma è un super cliente per la promozione perché con un chilo di formaggio riesce a raggiungere molte persone. Il negozio locale dei piccoli paesi di montagna ha un bacino di utenza piccolo, ma rappresenta un canale fisso di vendita quando il flusso in azienda si riduce: la bassa valle è poco turistica nel periodo invernale (la gente va su in alta valle); i turisti aumentano d’estate quando però noi siamo in alpeggio e l’azienda è chiusa… Per fortuna i nostri clienti sono per lo più persone del posto e va considerato che Cuneo dista solo 20 km: un bacino d’utenza importante per una piccola azienda come la nostra.

 

 

Che consigli si sente di dare a chi volesse fare il casaro?

 

Intanto bisogna distinguere. Un conto è la piccola azienda artigianale; un altro lavorare nel grande caseificio dove la produzione è di tipo industriale. In ogni caso, come per qualsiasi lavoro ci vuole volontà di conoscere, evolversi e crescere. Per lavorare bene in questo campo servono due tipi di formazione: quella teorica, fatta di studio formale delle nozioni di base; e quella che deriva dall’esperienza, dall’attività pratica. Prendiamo il latte crudo: è una materia viva, con una connessione fortissima con il territorio e il microclima circostante. Qui in Valle Stura abbiamo un certo tipo di umidità, che non è la stessa della Valle Po sotto il Monviso: siamo sempre in provincia di Cuneo, ma la stessa ricetta per fare, esempio, una robiola avrà risultati diversi. Questo è un pregio, perché vuol dire che possiamo esaltare la biodiversità locale; ma ha anche un difetto: servono tanta conoscenza ed esperienza per capire cosa fare per adattarsi al territorio e ottenere un determinato risultato.

 

 

Quindi è una professione in cui non si finisce di imparare e ci si deve confrontare con elementi fuori dal nostro controllo?

 

Assolutamente sì. Io dico sempre che il mondo della caseificazione è un mondo semplicissimo eppure complesso. Abbiamo solo un ingrediente di base: il latte, al quale si aggiungono caglio (per passare dalla fase liquida a quella solida) e sale (come conservante). Ma poi la complessità è data dalla lavorazione perché con il latte ci puoi fare dallo yogurt alla mozzarella al gorgonzola. Ti si apre un mondo enorme con un solo ingrediente nelle tue mani. E poi è un mondo in piena evoluzione: cambiano gli alimenti per gli animali, le tecniche, le regole. Non si smette mai di imparare e sperimentare.

 

 

A dicembre c’è stata una polemica feroce contro il consorzio del Parmigiano Reggiano accusato di voler sfruttare il lavoro per via dello spot sul casaro Renatino «che lavora 365 giorni l’anno». Lei l’ha definita «un’indignazione ipocrita».

 

Secondo me c’è stato un malinteso di base, perché lo spot voleva solo dare un’immagine di artigianalità. In ogni caso, se un dipendente è sfruttato è giusto che la società stigmatizzi la cosa e si adoperi perché il problema venga risolto. Ma è la stessa società che non ha coscienza delle piccole realtà come la nostra e non si indigna allo stesso modo per la nostra condizione: se io sto male, non mi posso fermare per curarmi perché non ho nessuno che mi sostituisce. Se prima si lamentano del prezzo senza rendersi conto di cosa c’è dietro e poi si indignano per Renatino, mi dico: c’è qualcosa che non va. E qui torniamo alla consapevolezza del consumatore. Anche per questo dico sempre che le piccole aziende come noi devono imparare a comunicare. C’è da fare un grosso salto a livello di cultura del prodotto per chiedere alle persone di fare una scelta consapevole e comprendere che non siamo tutti sullo stesso piano.

 

 

Il digitale aiuta?

 

All’inizio, lo ammetto, ero scettico. Il formaggio cambia a seconda dell’erba di cui si sono nutriti gli animali e questa cosa riesco a raccontarla molto bene di persona. Ho anche sempre pensato che la nostra azienda ha senso di esistere se fa vendita diretta ed è a contatto stretto con i consumatori. Però, durante la pandemia – quando tutti ci siamo dovuti un po’ reinventare – mi sono reso conto che alcuni tipi di canali ci aiutano a comunicare molto bene certe cose. Facebook ti dà una visibilità enorme: il post su Renatino ha ottenuto 1.300 like, mai successo. E tutti quelli che poi sono venuti in azienda l’avevano letto. Però, come anche Instagram, è grande, rumoroso, c’è molta confusione. Per noi ha funzionato molto bene Whatsapp, grazie ai gruppi di acquisto: ci ha permesso di mantenere rapporti e dialogare in un ambiente più piccolo e a nostra misura; a dare risposte e fare una comunicazione più efficace. Perché, alla fine, quello che conta è costruire una relazione con il cliente che lo invogli a tornare e a comprare ancora.

 

Link utili:

https://www.fiorerosalba.com/corso/casaro-addetto-alle-lavorazioni-lattiero-casearie/

https://www.fiorerosalba.com/categoria-corso/alimentare/

Rosalba Fiore

CARRIERA E AFFARI

ROSALBA FIORE

Per oltre un decennio ho costruito questo un archivio di guide e materiali di istruzioneinterviste ad imprenditori, dove incontri i nostri studenti e vedi i loro bellissimi progressi, dove ti ho fatto dare una sbirciatina alla nostra vita aziendale. Scopri chi sono…

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