«La mia erba è più verde della tua e te lo dimostro. Anzi te la mostro». Nel momento stesso in cui hanno iniziato a commerciare, gli esseri umani hanno sentito la necessità di mettere in mostra la propria merce per attirare acquirenti. Per lunghi secoli ciò è avvenuto nel modo più semplice: per terra, su un carretto, su un tavolo (in molti luoghi del mondo, per altro, è ancora così). Finché non entrarono in commercio le grandi lastre di vetro (fine Ottocento) e aprirono i primi grandi magazzini e allora tutto cambiò: nasceva la vetrina come la intendiamo noi oggi.
Come sono nate le vetrine
L’allestimento di una vetrina ormai è una raffinata tecnica di comunicazione e marketing, che si basa non solo sulla creatività e sul gusto ma sulle conoscenze messe a disposizione dalla psicologia e dalla neuroscienza.
Ma per metterla a punto ci sono voluti tre secoli, da quando nelle grandi città occidentali si iniziarono a vedere i primi dispositivi «per mostrare i tessuti che spesso usavano le donne (sete, chintz o mussole) che pendevano in pieghe dietro le finissime vetrine in modo che l’effetto di questi fosse simile alle pieghe ordinarie dell’abito di una donna».
La svolta è avvenuta quando si è cominciato a capire che esporre la merce non era semplice questione di quantità, ma una narrazione per accendere la fantasia, il desiderio, l’ammirazione del passante; un modo sofisticato per catturarlo e invogliarlo ad entrare e a comprare.
Le vetrine, allora, cominciarono ad essere come un grande schermo cinematografico.
Enorme scalpore fece, nel 1909, il grande magazzino di Selfridges a Londra con la vetrina più lunga mai vista in Gran Bretagna: prendeva tutta la facciata del negozio e lasciò tutti letteralmente a bocca aperta grazie alle scene realistiche e ai modelli di cera.
Era il modello americano che faceva la sua comparsa in Europa. Infatti Gordon Selfridge era un imprenditore del Wisconsin e magnate della vendita al dettaglio naturalizzato britannico. Ma soprattutto Selfridge è considerato il padre della moderna Visual Merchandising, perché la riteneva fondamentale per il successo della grande distribuzione che cominciava a diffondersi.
Le sue vetrine erano esposizioni eclatanti, come quando ci piazzò un vero e proprio aereo richiamando più di 50.000 persone. E fu sempre lui il primo a lasciare accesa l’illuminazione della vetrina anche di notte, in modo che i passanti usciti dal teatro potessero ammirare le sue merci mentre tornavano a casa.
Aveva capito l’enorme potere attrattivo (e dunque l’impatto sulle vendite) di una vetrina allestita in modo strategico. Che diventava così qualcosa di più di un semplice elemento decorativo.
Moda e non solo
È anche per questo se nei decenni successivi la vetrina diventa un pilastro della comunicazione per affermare l’identità di un marchio o di un negozio. Che fanno a gara tra loro sia in investimenti, che in creatività.
A progettarle vengono chiamati celebri architetti (come Le Corbusier) o artisti come Claes Oldenburg e Roy Lichtenstein. Andy Warhol iniziò la propria carriera proprio come window dresser (vetrinista) debuttando giovanissimo (anni Cinquanta) nel lussuoso department store Bonwit Teller di New York.
Anche l’illuminazione in quegli anni diventa elemento centrale nel creare l’atmosfera e la scenografia della vetrina, mentre vengono introdotte le prime insegne luminose. Inizia a cambiare anche l’approccio: la rotazione dei prodotti esposti diventa più frequente a favore di un’esposizione più accattivante. Tanto che, soprattutto per l’abbigliamento e la moda, la vetrina finisce con l’occupare un ruolo centrale già nella progettazione del negozio.
Parigi, Londra, New York; i primi decenni del ventesimo secolo; la moda, il design, la profumeria: è con questi ingredienti che l’allestimento delle vetrine diventa sempre più un’arte e inizia a dotarsi di strumenti, budget e professionalità specifiche. Nascono così il mestiere di vetrinista e il Visual Merchandising moderni.
Il visual merchandising
Come ben avevano capito i primi commercianti della storia, è all’esterno del negozio che comincia il corteggiamento del cliente e la vetrina permette di farlo anche quando il negozio è chiuso.
Non a caso qualcuno definisce il visual merchindiser un “venditore silenzioso”: è ormai una figura fondamentale per la vendita al dettaglio; con il suo lavoro può persino migliorare l’immagine del marchio. È il professionista che sta dietro le quinte e, in qualche modo, infonde vita ai prodotti.
Nell’età del digitale
L’arrivo di internet e dei social network non sembra aver scalfito l’importanza strategica della vetrina e quindi del mestiere di vetrinista. Perché la vetrina è lì, ad un passo dalla cassa, a sprigionare la sua potenza persuasiva 24 ore su 24. E può diventare essa stessa elemento di attrazione: non è raro che una bella vetrina venga fotografata e condivisa sui social contribuendo alla notorietà di un marchio.
Purché sia efficace, originale, strategica. Cosa tutt’altro che scontata, perché sono molti gli elementi che entrano in gioco: la disposizione dei prodotti; l’illuminazione; la combinazione di colori; l’esposizione dei prezzi; la comunicazione delle vendite promozionali.
Il visual merchandiser si occupa proprio di questi aspetti e non solo per le vetrine, ma anche all’interno dei negozi: la disposizione dei prodotti sugli scaffali e nelle varie corsie dei supermercati è una vera e propria scienza che si apprende nei corsi.
Ci vuole esperienza, preparazione e sensibilità estetica per posizionare in modo attrattivo i prodotti in vendita, che siano cibi freschi, oggetti piccoli come gioielli e accessori o uguali e monotoni nella forma come le scarpe. Per non parlare del lusso, che parla un linguaggio tutto a sé che il bravo o la brava vetrinista deve conoscere e saper interpretare.
Senza perdere di vista l’obiettivo principale: vendere.