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Alessandro Vercellotti, ovvero: l’avvocato come non l’hai mai visto

Vercellotti

Quando una passione è forte non c’è Legge che tenga. Alessandro Vercellotti è un avvocato un po’ speciale perché si è letteralmente inventato una nuova disciplina all’interno della professione forense: quella dell’avvocato del digitale. Legalfordigital è il suo studio legale, il primo in Italia specializzato in diritto per il digitale, cioè per tutto quello che ha a che fare con internet: dagli e-commerce all’influencer marketing; dalla sicurezza alla gestione dei dati e della privacy.

 

Dottor Vercellotti, come si diventa avvocati lo sappiamo. Ma come si diventa avvocati del digitale?

 

Tutto è nato da una passione. Mi laureo nel 2009; faccio la pratica forense e tutto quel che serve ma arrivo a un punto (a 33 anni nel 2017) nel quale sento che quella non è esattamente la mia strada. Ok la legge è il mio mondo, mio padre è notaio, la legge pervade la mia vita, ma fin da quando ero ragazzo, alle superiori, a me piaceva il mondo del digitale, della comunicazione online. Erano i primi anni 90 e non esistevano ancora i social ma io ero già elettrizzato. Nel 2017 il richiamo di quella vecchia passione si è fatto fortissimo e allora ho detto ok, fermiamoci e cominciamo a studiare: marketing, comunicazione online sui social, advertising, sviluppo siti, growth hacking. Il concetto era: andiamo a capire com’è questo mondo nella realtà. Chi lavora in questo settore cosa sa? Come vive tutti i giorni?

Cosa impara? Che problemi ha? Così è nata l’idea. Non volevo buttare tanti anni di università e impegno nella giurisprudenza, ma allo stesso tempo questi nuovi studi mi avevano aperto la mente e acceso una lampadina: perché non unire le due cose, la passione e l’esperienza da avvocato? E così ho fatto.

 

 

 

Questo ha significato anche interpretare il mestiere di avvocato in un modo diverso?

 

In effetti sì. Mi sono lanciato come un tir in corsa, senza pensarci troppo, un po’ perché era quello che volevo fare e un po’ per necessità. La necessità ti obbliga a fare delle scelte più audaci. Ho iniziato a comunicare e a presentarmi nella mia nuova veste di avvocato del digitale facendo video su Linkedin nel 2018 quando non li faceva proprio nessuno, non solo gli avvocati ma proprio nessuno. Li facevo perché, con l’incoscienza di chi comincia, pensavo: so parlare, sono abituato a farlo per lavoro, saprò parlare anche davanti ad una telecamera. Col senno di poi ho capito che era molto difficile, però è stato il mio primo mezzo per arrivare ai clienti che mi interessavano. Infatti, quei primi video facevano 10- 15mila views, che è tantissimo se si pensa che linkedin è una piattaforma molto professionale. Così ho cominciato ad avere persone che mi seguivano, che dicevano “guarda, un avvocato che parla di tematiche che mi interessano non in legalese e che quindi riesco a capire”. Capivano quello che dicevo. Può sembrare banale, ma non è banale con gli avvocati…

 

 

 

Immagino sia stato un po’ come un terremoto, la rottura di schemi precostituiti e di linguaggi consolidati e clichè: ci sono stati problemi?

 

Parecchi, sì, soprattutto da parte dei colleghi. Qualcuno si prendeva pure la briga di deridere il mio lavoro scrivendo post persino all’una di notte. Sono stato anche diffamato e ho avuto segnalazioni all’ordine, però anonime e quindi non hanno avuto seguito. Ma io sono andato avanti perché a fronte di qualcuno che ti disprezza, ce ne sono magari cento/duecento che invece ti spronano a proseguire. Tanto più che questi hater della situazione erano quasi sempre colleghi (forse infastiditi dal mio modo di esercitare la professione) e non potenziali clienti, cioè le persone alle quali era principalmente rivolta la mia comunicazione. Che invece mi sostenevano e mi seguivano, spingendomi a metterci ancora più impegno. Un impegno che costava fatica e anche risorse (di tempo e denaro). Ma tutto questo aveva un contraltare importante: visibilità e primi clienti. Considera che io partivo da zero: nel 2018 avevo chiuso con il vecchio mondo forense e con i vecchi clienti.

 

 

A proposito di clienti, chi è il cliente tipo di Alessandro Vercellotti?

 

 

Il mio studio ha sostanzialmente due target: chi lavora in ambito comunicazione e marketing, quindi dal freelance alla grande agenzia; e le aziende, anche qui molto eterogenee (dalla piccola realtà o startup alla multinazionale o ad esempio l’holding di una banca). Ma tutti questi clienti, così diversi tra loro, sono collegati dai servizi che eroghiamo, che alla fine sono solo quattro: privacy, vendita online, contrattualistica legata al digitale e intellectual property (diritto d’autore). Tutti i nostri clienti sono interessati a uno o più di questi servizi.

 

 

Com’è il mondo del digitale visto dal punto di vista di un avvocato?

 

Nel digitale non puoi pensare di aver acquisito le competenze una volta per tutte, occorre aggiornarsi costantemente. Sono materie che si evolvono in continuazione, sia dal punto di vista legislativo che dal punto di vista tecnico-pratico. Pensiamo, per esempio, alle novità di Apple IOS e all’impatto che hanno su chi fa pubblicità online. E quindi ecco che anche l’aspetto tecnologico entra a far parte delle cose che noi studiamo e approfondiamo giornalmente per aiutare i nostri clienti.

 

 

Quindi possiamo dire che il vostro supporto si basa su una conoscenza molto approfondita di tutto ciò che ruota attorno al mondo del digitale.

 

In effetti è così. Se vuoi giocare a certi livelli devi avere forti competenze tecniche, tecnologiche, di marketing, di social. Devi conoscere bene lo strumento. Pensiamo ad esempio all’influencer marketing: cosa può fare un influencer su Instagram? Cosa su Tik Tok? Quali sono le diverse esigenze (lato influencer e lato azienda)? A cosa bisogna prestare attenzione prima, durante e dopo la collaborazione? Perché fare attività di influencer marketing rispetto ad altri tipi di pubblicità? Ecco, a queste domande rispondiamo unendo tre competenze: quella legale (la base del nostro lavoro), quella tecnologica e quella di comunicazione/marketing.

 

 

Quali sono i rischi che un’azienda/professionista corre quando decide di muoversi nel digitale?

Quali le carenze che riscontrate maggiormente?

 

In quanto avvocato, ho visto in questi ultimi anni tanti colleghi buttarsi nel mio settore e ne capisco le ragioni: la professione di avvocato non è in crescita, ogni anno perdiamo iscritti all’albo, mentre questo è un mercato nuovo, più fiorente. Il problema comune a chi si muove nel digitale è che non basta comunicare e arrivare alle persone, bisogna poi avere un buon prodotto alle spalle, dare qualità. Altrimenti porti a casa il cliente una volta, ma poi non ritorna. Le aziende hanno ottime strategie di comunicazione e di marketing, ma spesso e volentieri fanno fatica proprio sugli aspetti legali perché magari hanno un legale interno bravissimo sugli aspetti societari, ma che non conosce lo strumento digitale. Ed è un peccato perché, proprio per la scarsa conoscenza di cosa si può fare, cosa no, cosa forse si perdono delle opportunità di business. Di fronte al “non so cosa fare” le aziende spesso scelgono di non fare niente. Invece, dico sempre che l’obiettivo di un legale deve essere quello di favorire il business, non di bloccarlo.

 

 

Che consiglio darebbe ad un giovane che voglia intraprendere la carriera di avvocato?

 

Il mio consiglio principale è quello di non fermarsi alla laurea ma di continuare a studiare, mantenere un’attitudine costante allo studio. È importante studiare anche una materia che ci interessa solo parzialmente perché comunque aumenta le nostre skill, le nostre abilità, ci tiene allenati ad apprendere una certa mole di informazioni in un determinato lasso di tempo e tiene allenato il nostro cervello. Questa è, secondo me, la carta vincente, a prescindere dalla nicchia: digitale, diritto agrario, diritto di famiglia eccetera. Senza negare, naturalmente, l’importanza della verticalità e della specializzazione. Ma verticalità e specializzazione le costruisci su una solida base di studio continuo.

 

 

E parlando di skill personali, non professionali quindi, che caratteristiche bisogna avere secondo lei per restare nel mondo del lavoro di oggi?

 

La fluidità. Avere una mente fluida. Quello che funziona oggi non è detto che funzionerà domani. Con il Covid tante aziende e tanti professionisti hanno preso una batosta incredibile: erano business nati offline, d’accordo, ma l’online non lo consideravano eppure esisteva già da anni. Il mondo cambia velocemente e noi dobbiamo avere attitudine al cambiamento. Il futuro non lo possiamo prevedere, ma se siamo molto rigidi questi cambiamenti li subiremo e basta. Non saremo mai in grado di anticiparli ma nemmeno di fronteggiarli e assorbirli senza troppi danni. E questo si collega a quello che dicevo prima sullo studio continuo: studiare significa farsi contaminare; e se mi faccio contaminare sarò più abituato a pensare che non esiste solo il mio mondo, ma c’è altro là fuori.

 

 

Come vede l’evolversi degli aspetti legali del digitale? Qual è la direzione che si sta prendendo?

 

Il futuro è fatto sicuramente di meno far west. Il digitale è un ambito in cui “si è sempre fatto così, si può fare”. Pensiamo al trattamento dei dati o al copyright: non entreremmo mai in un negozio a prendere un oggetto e a portarlo via senza pagare e allora perché andiamo su un sito e copiamo un articolo del blog? Anche se si tratta di qualcosa di immateriale, parliamo sempre di una proprietà altrui. Sicuramente si sta andando verso una maggiore tutela. Ma chi prima capirà che i dati personali e tutta la normativa sulla privacy non sono solo un peso ma anche un’opportunità (tanto tutti dovremo adeguarci); chi prima capirà il valore di dati trattati correttamente e quindi poi monetizzabili; chi prima saprà adeguarsi, meglio si posizionerà rispetto ad un competitor, che dovrà rifare tutto da capo nel momento in cui scoprirà di aver lavorato male dal punto di vista legale.

 

 

Il messaggio sta passando?

 

Sì e no. Ci sono aziende molto virtuose e all’avanguardia, anche storiche (lo dico per quelli che pensano che per le start up sia più facile) che hanno una visione precisa di dove vogliono andare. E, al contrario, ci sono aziende che, per organizzazione interna o per vision, fanno fatica e allora non mi stupisco quando arrivano da noi e ci dicono di aver dovuto tagliare il budget perché hanno perso fatturato. Restare fermi non significa restare dove si è ma scendere verso il basso. O ci adattiamo e cresciamo o andiamo indietro.

Rosalba Fiore

CARRIERA E AFFARI

ROSALBA FIORE

Per oltre un decennio ho costruito questo un archivio di guide e materiali di istruzioneinterviste ad imprenditori, dove incontri i nostri studenti e vedi i loro bellissimi progressi, dove ti ho fatto dare una sbirciatina alla nostra vita aziendale. Scopri chi sono…

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