Nicolò Carandini da sviluppatore software ad imprenditore agricolo: «Basta la passione».

carandini software imprenditore agricolo

«Dobbiamo riuscire a trasformare il nostro lavoro in un divertimento. Se ci sono riuscito io facendolo in una stalla che non c’entrava nulla né con le mie aspettative di vita né con i miei interessi, penso che ci possa riuscire chiunque». Nicolò Carandini sapeva poco o nulla di zootecnia; di come si fa la mungitura; di come si gestisce un’azienda agricola. La sua carriera professionale lo aveva portato da tutt’altra parte. Eppure ora non solo ama il suo lavoro nella sua azienda agricola Torre in Pietra Carandini (alle porte di Roma), ma gli dà anche grandi soddisfazioni.

 

 

Nicolò Carandini, dunque lei è imprenditore agricolo “per caso”?

 

Diciamo che è per caso che sia finito a lavorare qui nell’azienda di mio padre (che adesso ha quasi 100 anni di storia). Io ho sempre fatto lo sviluppatore software. Poi, nel 1994, mio padre mi chiese di aiutarlo ad introdurre un nuovo ramo di attività. Lui voleva passare a me la gestione dell’azienda agricola, ma si rendeva conto che produrre il latte vaccino – tra quote latte e problemi vari – era come andare sul ring con le mani legate dietro la schiena: essendo impossibile aumentare il fatturato, l’unica leva per far quadrare i conti  era la diminuzione dei costi e delle le spese. La sua idea era dunque quella di iniziare una nuova attività nel vivaismo e voleva che me ne occupassi io. Io ho accettato pensando “Ok: ti faccio da consulente, due/tre volte a settimana come faccio con i miei clienti abituali”. Le cose invece sono andate diversamente: da quel momento ho iniziato a lavorare a tempo pieno e nel 2000 l’azienda è passata a me. Ho dovuto gestire tutta una serie di trasformazioni.

 

 

 

Un bel salto: 250 ettari da gestire, un’azienda storica vocata alla zootecnia che ha “creato” la frisona italiana (una razza di mucca) e che produceva foraggio e latte. È stato difficile?

 

A pensarci bene, in realtà, è stato semplice. Io sono anche analista: la mia vocazione è incontrare persone che fanno mestieri a me totalmente sconosciuti e comprendere così bene il meccanismo (o parte del meccanismo) di quel lavoro da poterne poi fare un programma che assista quella persona nella sua attività. E quindi mi è venuto naturale immergermi totalmente nell’impresa. Questa è stata la chiave di volta. Ad esempio: mi sono accorto subito che il veterinario non aveva un’anamnesi degli animali: li visitava ogni giorno nello stato in cui si trovavano senza ricordarne la storia pregressa (dovendo gestire più 700 capi solo nella nostra azienda…). E questo non era un bene. Quindi mi sono messo a studiare: gli aspetti riproduttivi, dell’alimentazione, della genetica e quelli amministrativo-imprenditoriali di un’attività complicata e multidisciplinare. Problematiche che ho affrontato scrivendo programmi per poter gestire tutto meglio. Insomma, ho fatto lo sviluppatore dentro l’azienda e così ho imparato a conoscerla e a gestirla.

 

 

E questa è la prima lezione: l’importanza dei dati per fare l’imprenditore.

 

Sì il messaggio è proprio questo. In inglese si dice garbage in e garbage out. Significa che se ho spazzatura dentro (dati mal raccolti, mal conservati e mal consultati), i risultati saranno altrettanta spazzatura. Molto importante è anche capire come utilizzarli al meglio per farli fruttare. Ma forse il nocciolo è la passione: non fai nulla senza appassionarti, anche di una cosa che non ti piace per nulla come la zootecnia non piaceva a me.

 

 

Ovvero, seconda lezione: non sai cosa la vita ha in serbo per te, quindi bisogna avere la curiosità di percorrere nuove strade?

 

Curiosità e passione vanno assolutamente a braccetto. Non c’è passione se non c’è curiosità.

 

 

Avete fatto assunzioni, cercato personale: che idea si è fatto? Quanto la formazione è importante nel suo mestiere?

 

Devo dire che la nostra storia non è esemplificativa perché noi siamo andati a diminuire i dipendenti nonostante l’impegno. Abbiamo aumentato di poco il personale solo quando siamo arrivati a tre mungiture al giorno e non c’era nessuno che sapesse mungere. Gli unici che si prestano ad imparare (e ad imparare direttamente sul campo) sono le persone di nazionalità indiana. Il motivo è tipicamente l’orario: si munge dalle tre di mattina, più volte al giorno, 365 giorni l’anno. Si fanno i turni, ma non esistono sabati, domeniche, Natali ecc. Questo tipo di lavoro non è in cima ai desideri delle persone italiane. Sulla formazione: quando ci è capitato di andare in un istituto agrario a chiedere di segnalarci uno studente brillante e in gamba, curioso e appassionato, spesso si trattava di ragazzi figli di imprenditori agricoli e che quindi sarebbero andati a lavorare nell’azienda di famiglia. Noi adesso siamo in tre a gestire l’azienda e bastiamo perché non facciamo più produzione di latte, ma prima o poi andremo in pensione. Dopo si prospetta il nulla: non vedo sbocchi.

 

 

Secondo lei oltre ad una formazione specifica è utile anche una preparazione nell’ambito delle nuove tecnologie?

 

Prima di tutto ci vuole una preparazione specifica. Pensiamo al lavoro di stalla. Uno potrebbe chiedersi: cosa vuoi che ci sia da fare in una stalla? Do un po’ da mangiare agli animali e via. Sbagliato: gli animali da stalla sono come vetture da formula Uno e vanno trattati come tali. Alimentazione curatissima, per animali di alta genetica. Solo il carro miscelatore (macchinario che serve per la preparazione dell’alimentazione) costa più di 130 mila euro. Vuol dire che servono investimenti importanti con ritorni calcolati in anni. Non si può fare senza una grande competenza, non si improvvisa. Ed ecco perché serve curiosità e passione. Poi certo i corsi formativi sono essenziali per avere una prima infarinatura e una base minima. Bisogna anche saper usare Excel o Word. Fare autoapprendimento per esempio è fondamentale, ma è necessario essere in grado di cercare in internet e discernere tra nozioni utili e non: la rete è una miniera d’oro di informazioni ma anche una discarica di stupidaggini. Quando poi la vita ti porta a svolgere un’attività che non avevi previsto, beh lì veramente devi rimboccarti le maniche e darti da fare per diventare molto bravo. Perché oggi la competizione per restare nel mondo del lavoro è altissima.

 

 

Però voi adesso non producete più latte: come mai?

 

È stata una grande trasformazione anche questa. Prima in campagna le cose si muovevano con lentezza: gli anni scorrevano uno appresso all’altro: un anno come il precedente e come quello prima ancora. Negli ultimi vent’anni le cose sono drammaticamente cambiate tra blu tongue, malattie varie, cambi di prospettiva. Insomma: se tu hai una fabbrica di jeans e le nuove generazioni hanno deciso che non è più di moda e nessuno li compra, non c’è alternativa al cambiare attività. Come abbiamo fatto noi, grazie alle nuove leve e in particolare a mia figlia Virginia. Lei è laureata in storia dell’arte, ama il bello e si è messa a “coltivare” il bello nella nostra azienda. Abbiamo cercato di capire cosa non andava e quali erano i nostri punti di forza. Abbiamo una bellissima azienda, con una bella storia, in una campagna nota da secoli per il suo valore paesaggistico; a soli 25 minuti da Roma, con i suoi 3 milioni e mezzo di abitanti e quindi un notevole bacino di utenza potenziale. Di qui l’idea (per altro mostruosamente faticosa) di fare accoglienza e mettere a disposizione la nostra azienda per il tempo libero.

 

 

Più faticosa del gestire un’attività zootecnica?

 

È diverso. Per esempio adesso stiamo facendo l’attività dell’intaglio delle zucche e uno dice: bellissimo, lo faccio anche io. Che ci provi: si comincia ad aprile con la semina (4 ettari di zucche), poi devi raccoglierle e sistemarle nei bins per non farle rovinare; poi c’è la gestione dei social e della comunicazione; la pubblicità e infine la gestione dell’evento e l’accoglienza delle persone: se sbagli è un attimo perderle.

 

 

Da quanto tempo avete questa nuova attività?

 

Da qualche anno, però con dei cambiamenti. Siamo partiti in punta di piedi, realizzando una piccola area di picnic dove affittare tavoli e barbecue e passare la giornata. Erano piccoli ingressi, pensati più che altro per sondare il terreno e verificare la risposta delle persone. In ogni caso, erano attività che se non si svolgevano non avevano comunque costi. Per capirci: se apri un ristorante e non ci viene nessuno devi comunque pagare il cuoco, i camerieri ecc. Nel nostro caso no: era un test. Poi a mia figlia è venuta l’idea dell’intaglio delle zucche, che si fa già in altre zone d’Italia, ma non dalle nostre parti ed è stata una scoperta. Siamo partiti programmando 1500 zucche con mia moglie che era scettica e ne voleva fare solo 300: «Chi vuoi che venga», diceva. Ebbene: nei primi tre giorni abbiamo fatto sold out. Un grande successo.

 

 

L’iniziativa è iniziata lo scorso anno giusto?

 

Sì. Abbiamo dovuto interrompere l’attività dei picnic a causa del Covid e siamo ripartiti con questo evento delle zucche, che si chiama le Zucche di Barbabianca (Barbabianca è il nome del centro agricolo che fa parte di Torre in Pietra Carandini). È andata benissimo da subito, come ho detto, e nonostante la coda chilometrica (che non avevamo assolutamente previsto) alla fine della giornata le persone se ne andavano contente e già con la voglia di tornare l’anno dopo. Quest’anno ci siamo organizzati meglio, anche con un sistema di prenotazione (ci si può prenotare sul nostro sito Torreinpietracarandini.it) e tutto sta filando liscio, nonostante abbiamo messo in campo ben 12mila piante. Abbiamo iniziato l’ultima domenica di settembre e finiremo il 31 ottobre, in tempo per Halloween. Facciamo anche altre attività all’aperto, come per esempio quella con i tulipani in primavera: noi seminiamo i bulbi e le persone vengono a raccogliersi i fiori. Sul sito ci sono tutte le informazioni per partecipare.

 

 

Si tratta di attività collaterali rispetto a quella agricola?

 

In realtà, anche con nostra sorpresa, stanno diventando principali. Tra siccità e calo dei prezzi e anche dal punto di vista del fatturato queste attività si stanno candidando a diventare il cuore del nostro lavoro.

 

 

Quindi c’è un desiderio di vita all’aperto e socialità?

 

Assolutamente sì. Al di là del fatto che se una cosa economicamente funziona è già una soddisfazione, una delle cose che ci piace di più di questo lavoro è il fatto di far svolgere ai genitori un’attività in comune con i figli. Chiunque può notare che spesso mamme e papà sono piuttosto stressati e stanchi e quando vogliono ritagliarsi dei momenti di relax mettono i figli davanti allo smartphone: noi gli offriamo l’opportunità (che poi è quella per la quale ci ringraziano) di avere dei momenti da passare con i figli divertendosi e rilassandosi. È semplice, economico e gratificante per gli stessi genitori che per un po’ si liberano anche del senso di colpa di stare poco con i figli.

 

 

E questa è la terza lezione?

 

Posso dire questo: chiunque deve riuscire a trasformare il proprio lavoro in un divertimento; se ci sono riuscito io facendolo in una stalla che non c’entrava nulla né con le mie aspettative di vita né con i miei interessi penso che ci possa riuscire chiunque. Bisogna solo mettersi di buzzo buono, come si dice, e trasformare quello che si fa in passione. Che può anche diventare divertente.

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Rosalba Fiore

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