L’impresa straordinaria di Madam C.J. Walker, musa ispiratrice del 2023

Metodo Madam C.J. Walker fiorerosalba

Il nostro personaggio dell’anno, la nostra musa ispiratrice per il 2023 è una donna d’altri tempi eppure modernissima. È vissuta a cavallo del XIX e XX secolo, ha avuto una vita breve eppure ha compiuto un’impresa da far impallidire i Jeff Bezos e i Mark Zuckerberg (solo per citare i più famosi).

Lei, Madam C.J. Walker, è un caso più unico che raro di donna – povera, per di più nera in un’epoca di feroce segregazionismo razziale – diventata la prima imprenditrice milionaria degli Stati Uniti. Una di quelle storie poco note di donne eccezionali spesso cancellate dalla Storia.

Madam Walker è morta nel 1919 a soli 51 anni lasciando in eredità un patrimonio che valeva l’equivalente di 6 milioni di dollari di oggi: la più ricca donna afroamericana degli Usa.

Ma questa è la fine della storia.

La storia inizia nella baracca dove vive con la sua famiglia: padre, madre e cinque tra fratelli e sorelle schiavi in una piantagione della Louisiana. Lei no: è il primo membro della famiglia a nascere libera perché erano già state emanate le prime leggi che abolivano la schiavitù.

Abolita (sulla carta) la schiavitù, restavano comunque la miseria e condizioni di vita al limite della sopravvivenza, in un contesto nel quale ai neri erano riservati i lavori più umili e peggio pagati e i linciaggi erano all’ordine del giorno, in particolare negli Stati del Sud. Una ragazza di colore tutt’al più poteva aspirare a fare la lavandaia e la domestica quando andava bene; altrimenti per lei c’era la fatica delle piantagioni di cotone.

 

 

Da vedova, lavandaia e povera a venditrice

 

Madam Walker non esisteva ancora. Esisteva Sarah Breedlove, il suo nome di nascita, «orfana a 7 anni, moglie a 14, madre subito dopo e vedova a venti», di professione lavandaia.

Vedova e malconcia. Una dieta povera e malsana; l’impossibilità di lavarsi i capelli regolarmente per la mancanza di acqua corrente, elettricità e riscaldamento; l’uso di prodotti chimici in cui sta immersa tutto il giorno per strofinare panni l’hanno resa quasi calva, una condizione molto comune tra le donne afroamericane dell’epoca frequentemente colpite da infezioni cutanee e malattie varie del cuoio capelluto anche in giovane età.

Sarah se ne rende conto. Intuisce l’importanza di prendersi cura del capello e della testa, anche come forma di gratificazione personale e di riscatto sociale. Il mercato cosmetico dell’epoca ignora le problematiche delle capigliature afro perché non considera le donne di colore come un possibile target.

L’idea non era nuovissima. Già a fine Ottocento c’erano diverse donne di colore che si definivano “specialiste del capello” e si facevano pubblicità sulle riviste per neri. Poi c’era Annie Malone, anche lei business-woman di colore, che aveva fondato una propria impresa cosmetica.

Ma Sarah ha una marcia in più. Il suo non è un business, è una missione: aiutare le donne di colore ad emanciparsi (culturalmente ed economicamente), a rivendicare il posto che gli spetta. Inizia sperimentando su di sé lozioni e balsami casalinghi: combina, miscela, cuoce. L’aiutano i suoi fratelli, nel frattempo diventati barbieri; l’aiuta l’esperienza in qualità di venditrice proprio nell’azienda di Annie Malone.

 

 

Sistema Walker e come è diventata un’imprenditrice self made di successo

 

In breve tempo si mette in proprio con quello che diventerà il “Sistema Walker”: lozione, pettine di ferro a caldo e un “balsamo miracoloso” (che a base di zolfo cura il cuoio capelluto e aiuta la ricrescita), la cui formula decreta il suo successo.

Ma il successo è lei, Madam Walker (dal nome del suo secondo marito, Charles Joseph Walker) come iniziano a chiamarla le sue fedeli clienti (e lei non ci pensa un attimo a farne un marchio). Lei stessa va di porta in porta e viaggia in tutti gli Stati orientali e meridionali e quello che vende non è solo un prodotto, ma un sogno: riappropriarsi della propria dignità; rivendicare la propria femminilità, a prescindere dal colore della pelle e dai capelli crespi; prendersi cura di se stesse.

 

Non è solo marketing (nel quale l’aiuta il marito, un venditore di pubblicità ai giornali), per altro molto intelligente e all’avanguardia (dati i tempi). No. Madam Walker vuole aiutare davvero le ragazze di colore. E allora decide di formare squadre di venditrici o “hair culturists” come le chiama lei. Ed è già una piccola rivoluzione perché all’epoca i venditori erano quasi esclusivamente maschi.

Vuole che abbiano una possibilità; vuole che siano indipendenti economicamente; vuole che siano preparate. Apre una scuola apposita, nella quale insegna loro i fondamenti di cosmetica e di tricologia in modo che siano in grado di spiegare alle clienti come usare i prodotti e quanto sia importante curare la capigliatura. Gli vengono insegnate anche tecniche di vendita e marketing.

Una cosa mai vista (sempre dati i tempi): aveva colto l’importanza della formazione aziendale; qualcosa a cui oggi fanno ricorso i manager più illuminati.

Queste donne e ragazze diventano la sua forza motrice, le sue ambasciatrici. Pare ne abbia formate 20mila, che – divise in gruppi per supportarsi a vicenda – battono tutta l’America. Di porta in porta non solo presentano e vendono i prodotti Walker (guadagnando ben di più che facendo le domestiche o le lavandaie) ma diffondono il pensiero di Madam Walker, la sua determinazione, il suo coraggio, il suo esempio. La sua influenza è così forte da rivoluzionare il mercato dell’hair styling dell’epoca, fino ad allora dedicato praticamente solo alle donne bianche.

L’impero economico di Madam Walker è ormai consolidato: è bastata una decina di anni. Era nata una fabbrica; c’erano i saloni di bellezza; la scuola di formazione; le borse di studio; le vendite per corrispondenza fino ai Caraibi. I dipendenti (in maggioranza donne) erano arrivati a tremila.

La puoi ancora vedere in una foto d’epoca, fiera e sorridente, mentre è alla guida della sua automobile: una donna, nera, ricca, che guida un veicolo nel 1911. Sbalorditivo.

Nel 1924, quando Sarah-Madam Walker è morta già da 5 anni, da 23 Stati arrivano a Villa Lewaro (la sua ultima lussuosa dimora vicino New York) più di 400 tra venditrici e dipendenti per partecipare all’ottava convention annuale, che comprendeva riunioni, workshop, cerimonia di premiazione, ballo ed escursione sul fiume Hudson.

Volendo potremmo fermarci qui: orfana, povera, di colore che dal nulla (e anche meno del nulla) costruisce un business milionario. Ma l’obiettivo di Madam C.J. Walker non era (solo) quello di diventare ricca, ma di dare il proprio contributo alla causa dell’emancipazione dei neri. Fino all’ultimo fu sostenitrice, filantropa e generosa finanziatrice dei movimenti per i diritti civili, partecipando a comitati e marce di protesta. A Indianapolis, dove nel 1910 aveva trasferito il suo quartier generale, esiste ancora il Walker Theatre, nell’edificio che aveva ospitato la sua fabbrica di cosmetici.

Oggi Madam C.J. Walker è inserita nella National Women’s Hall of Fame; è comparsa su un francobollo commemorativo; il Guinness dei Primati l’ha inserita come prima donna a diventare milionaria per i suoi propri meriti; ed è l’ultima donna ad entrare nella collezione Barbie di donne ispiratrici.

Ma noi vogliamo ricordarla con il suo nome di battesimo, Sarah Breedlove, e non con il nome del marito, scelto perché, nel business, in quell’epoca era meglio presentarsi con un nome da uomo che da donna. I tempi sono cambiati. O no?

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Rosalba Fiore

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